Italo Svevo
Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz o più semplicemente Ettore Schmitz (19 dicembre 1861, Trieste - 13 settembre 1928, Motta di Livenza) è stato un importante scrittore italiano.
Hector Aron Schmitz (in arte Italo Svevo) nasce nel 1861 a Trieste da una famiglia di origine ebraica. Sulle orme del padre, Ettore compie studi commerciali, prima in Germania e poi a Trieste. Nel 1880 con il fallimento dell'azienda paterna, si impiega in banca, iniziando la collaborazione con l'«lndipendente». Nel 1892 avviene la pubblicazione del suo primo romanzo Una vita, opera che viene sostanzialmente ignorata dalla critica e dal pubblico. Nel 1896 Svevo si sposa con Livia Veneziani e nel 1898 pubblica il secondo romanzo, Senilità; anche quest'opera passa però sotto silenzio. Licenziatosi dalla banca, Svevo entra nell'azienda del suocero. Una svolta importante è rappresentata dall'incontro nel 1907 con lo scrittore irlandese James Joyce e, dopo il 1910, dall'accostamento alla psicoanalisi freudiana. Nel 1919 l'autore comincia a scrivere La coscienza di Zeno, che viene pubblicato nel 1923. Nel 1925 scoppia il "caso Svevo": una vivace discussione si apre intorno allo scritto su Zeno. Nel 1928 inizia un quarto romanzo, Il vecchione o Le confessioni del vegliardo, ma nello stesso anno l'autore muore, in seguito alle ferite e ai problemi cardio-respiratori causati da un incidente stradale.
In Svevo confluiscono filoni di pensiero contraddittori e, a prima vista, difficilmente conciliabili: da un lato il positivismo, la lezione di Darwin, il marxismo; dall'altro il pensiero negativo e antipositivista di Schopenhauer e di Nietzsche, nonché l'evidente influenza di Freud.
Ma questi spunti contraddittori sono in realtà assimilati da Svevo in un modo originalmente coerente: lo scrittore triestino assume dai diversi pensatori gli elementi critici e gli strumenti analitici e conoscitivi piuttosto che l'ideologia complessiva. Così dal positivismo e da Darwin, ma anche da Freud, Svevo riprende la propensione a valersi di tecniche scientifiche di conoscenza e il rifiuto di qualunque ottica di tipo metafisico, spiritualistico o idealistico, nonché la tendenza a considerare il destino dell'umanità nella sua evoluzione complessiva. Ma di Darwin respinge l'ottimismo e la fiducia nel progresso, mentre del positivismo in generale rifiuta sempre la presunzione di fare della scienza una base oggettiva e indiscutibile del sapere.
Del rapporto di Svevo con il marxismo è testimonianza il racconto - apologo La tribù, uscito non casualmente, nel 1897. Certo è che il marxismo non viene accettato da Svevo come soluzione sociale, ma solo come strumento analitico e come prospettiva critica di giudizio sulla civiltà europea e sui suoi meccanismi economici e sociali.
Anche da Schopenhauer Svevo riprende alcuni strumenti di analisi e di critica, ma non la soluzione filosofica ed esistenziale: non accetta cioè la proposta di una saggezza da raggiungersi attraverso la «noluntas», la rinuncia alla volontà, e il soffocamento degli istinti vitali. Dal filosofo tedesco egli desume soprattutto la capacità di criticare gli «autoinganni» e di sottolineare il carattere effimero e inconsistente delle ideologie e dei desideri dell'uomo.
Lo stesso atteggiamento Svevo rivela nei confronti di Nietzsche e di Freud. Il Nietzsche di Svevo è il teorico della pluralità dell'io, anticipatore di Freud, e il critico spietato dei valori borghesi, non il creatore di miti dionisiaci. Quanto a Freud, che Svevo studia con passione è per lui un maestro nell'analisi della costitutiva ambiguità dell'io, nella demistificazione delle razionalizzazioni ideologiche con cui l'individuo giustifica la ricerca inconscia del piacere, nell'impostazione razionalistica e materialistica dello studio dell'inconscio. Ma Svevo rifiuta sempre di aderire totalmente al sistema teorico di Freud: accetta la psicoanalisi come tecnica di conoscenza, ma la respinge sia come visione totalizzante della vita, sia come terapia medica.
Il rifiuto della psicoanalisi come terapia rivela nello Svevo della Coscienza di Zeno una difesa dei diritti dei cosiddetti "ammalati" rispetto ai "sani". La nevrosi, per Svevo, è anche un segno positivo di non rassegnazione e di non adattamento ai meccanismi alienanti della civiltà, la quale impone lavoro, disciplina, obbedienza alle leggi morali, sacrificando la ricerca del piacere. L'ammalato è colui che non vuole rinunciare alla forza del desiderio. La terapia lo renderebbe sì più "normale", ma a prezzo di spegnere in lui le pulsioni vitali. Per questo l'ultimo Svevo difende la propria "inettitudine" e la propria nevrosi, viste come forme di resistenza all'alienazione circostante. Rispetto all'uomo efficiente ma del tutto integrato nei meccanismi inautentici della società borghese, egli preferisce essere un "dilettante", un "inetto", un "abbozzo" aperto a possibilità diverse.
Con questa presa di posizione si passa già dalla cultura alla poetica di Svevo. Negli anni dell'elaborazione della Coscienza di Zeno e dell'ultima produzione narrativa e teatrale, la letteratura è da lui concepita come recupero e salvaguardia della vita. L'esistenza vissuta, trasportata sulla pagina scritta, viene sottratta al flusso oggettivo del tempo; definitivamente «morta» è solo la vita non raccontata. Soltanto se l'esistenza sarà narrata o «letteraturizzata», trattata cioè attraverso il «raccoglimento» della letteratura, sarà possibile evitare la perdita dei momenti importanti della vita e rivivere nella parola letteraria l'esperienza vitale del passato, i desideri e le pulsioni che nella realtà sono spesso repressi e soffocati. Su questa la tesi di fondo si aprono Le confessioni del vegliardo. La vita può essere difesa solo dall'«inetto», dall'ammalato o dal nevrotico, da chi nella società è un "diverso", e dunque dallo scrittore.
Anche sul piano del gusto letterario e delle scelte di poetica Svevo muove da maestri diversi: da un lato i realisti e i naturalisti (principalmente Honoré de Balzac, Gustave Flaubert e Émile Zola; ma Svevo si occupa anche del Mastro-don Gesualdo di Verga); dal l'altro il romanzo psicologico di fine Ottocento, e soprattutto Dostoevskij, che aveva scandagliato le pieghe più riposte della psiche umana. Gli scritti Soggiorno londinese e Uomini e cose in un distretto di Londra rivelano anche l'apertura alla letteratura inglese e soprattutto a quella umoristica di Swift e di Sterne, che indubbiamente influenza La coscienza di Zeno e l'ultima produzione narrativa e teatrale.
Dalla letteratura realista e naturalista - e soprattutto da Flaubert - Svevo deriva la critica al "bovarismo" agli atteggiamenti da sognatore romantico dei protagonisti dei primi due romanzi, e una struttura narrativa, in Una vita e in Senilità, ancora tributaria all'impianto narrativo tradizionale. Da Dostoevskij e da Sterne desume la spinta all'analisi profonda dell'io e a un rinnovamento radicale delle strutture narrative. Su questo piano agisce anche l'influenza di Joyce. Essa si risolve però in molteplici gestioni culturali (l'attenzione all'inconscio) e la tendenza a correlare l'analisi del profondo alla ricerca di un nuovo impianto narrativo più che in una effettiva analogia di soluzioni formali. La confessione di Zeno, con il suo sorridente distacco razionalistico, resta ben lontana dal "flusso di coscienza" dell'Ulisse, il capolavoro di Joyce.